Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,30-34.
Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.
Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare.
Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero.
Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 271 pagina 319 - CD 4, traccia 46
1È notte fatta quando Gesù torna a casa. Entra senza rumore nell’orto, si affaccia un attimo alla cucina buia. La vede vuota. Si affaccia alle due stanze dove sono le stuoie e i letti. Vuote esse pure. Solo le vesti mutate, ammucchiate per terra, dicono che gli apostoli hanno fatto ritorno. La casa sembra disabitata tanto è silenziosa.
Gesù, facendo meno rumore di un’ombra, sale la scaletta, candore nel candore della luna piena, e giunge sulla terrazza. La percorre. Pare uno spettro che si muova senza rumore. Un luminoso spettro. Nell’incandescenza bianca della luna pare affinarsi, alzarsi più ancora. Alza con la mano la tenda che è alla porta della stanza alta. Essa era rimasta calata da quando i discepoli di Giovanni vi erano entrati con Gesù. Dentro, seduti qua e là, a gruppi, o soli, sono gli apostoli coi discepoli di Giovanni e Mannaen, e, addormentato col capo sui ginocchi di Pietro, è Marziam. La luna si incarica di illuminare la stanza entrando coi suoi fiotti fosforici dalle finestre aperte. Nessuno parla. E nessuno, tolto il bambino seduto per terra su una stuoia, dorme.
2Gesù entra piano e il primo che lo vede è Tommaso. «Oh! Maestro!» dice facendo un sobbalzo.
Gli altri si scuotono tutti. Pietro, nel suo impeto, fa per alzarsi di scatto, ma si sovviene del bambino e lo fa dolcemente, adagiando il capo bruno di Marziam sul suo sedile, di modo che giunge da Gesù per ultimo, mentre il Maestro, con voce stanca di chi ha molto sofferto, risponde a Giovanni, Giacomo e Andrea che gli dicono il loro dolore: «Lo comprendo. Ma solo chi non crede ha da sentirsi desolato di una morte. Non noi che sappiamo e crediamo. Giovanni non ci è più separato. Lo era prima. Prima ci separava, anzi. O con Me, o con lui. Ora non più. Dove è lui Io sono. Presso a Me lui è».
Pietro insinua la sua testa brizzolata fra le teste giovanili e Gesù lo vede: «Anche tu hai pianto, Simone di Giona?»; e Pietro con voce più rauca del solito: «Sì, Signore. Perché anche io ero stato di Giovanni… E poi… e poi… E pensare che il venerdì scorso io mi rammaricavo che la presenza dei farisei ci avesse ad amareggiare il sabato! Questo sì che è un sabato d’amarezza! Avevo portato il bambino… per avere un sabato anche più bello… Invece…».
«Non ti accasciare, Simone di Giona. Giovanni non è perduto. Lo dico anche a te. E in cambio abbiamo tre discepoli ben formati. Dove è il bambino?».
«Là, Maestro. Dorme…».
«Lascialo dormire» dice Gesù curvandosi sulla testolina bruna che dorme tranquilla. E poi chiede ancora: «Avete cenato?».
«No, Maestro. Ti aspettavamo ed eravamo in pensiero, ormai, per il ritardo, non sapendo dove cercarti… e parendoci di avere perduto anche Te».
«Abbiamo ancora tempo da stare insieme. Su, preparate la cena, perché dopo ce ne andremo altrove. Ho bisogno di isolarmi fra amici, e domani, qui stando, saremmo sempre circondati di persone».
«E io ti giuro che non li sopporterei, specie quelle serpentesse delle anime farisee. E sarebbe un brutto fatto se sfuggisse loro anche un sorriso a nostro riguardo, nella sinagoga».
«Buono, Simone!… Ma Io ho calcolato anche questo. Perciò sono tornato a prendervi con Me».
Alla luce delle lucernette accese ai due lati della tavola, si vedono meglio le alterazioni dei loro visi. Solo Gesù è di una maestà solenne, e Marziam sorride nel sonno.
«Il bambino ha mangiato prima» spiega Simone.
«È meglio lasciarlo dormire, allora» dice Gesù.
E in mezzo ai suoi offre e distribuisce il parco cibo che viene mangiato senza volontà. E presto la cena è finita.
3«Ditemi ora che avete fatto…» incoraggia Gesù.
«Io sono stato con Filippo nelle campagne di Betsaida e abbiamo evangelizzato e curato un bambino malato» dice Pietro.
«Veramente è stato Simone che lo ha guarito» dice Filippo, che non vuole prendersi una gloria non sua.
«Oh! Signore! Non so come ho fatto. Ho pregato molto, con tutto il cuore, perché mi faceva pietà il malatino. Poi l’ho unto con l’olio e l’ho soffregato con le mie mani rozze… ed è guarito. Quando l’ho visto colorirsi in viso e aprire gli occhi, rivevere insomma, ho avuto quasi paura».
Gesù gli posa la mano sul capo, senza parlare.
«Giovanni ha stupito molto per aver cacciato un demonio. Ma a parlare è toccato a me» dice Tommaso.
«Anche tuo fratello Giuda lo ha fatto» dice Matteo.
«Allora anche Andrea» dice Giacomo d’Alfeo.
«Invece Simone Zelote ha guarito un lebbroso. Oh! non ha avuto paura di toccarlo! E mi ha detto poi: “Ma non temere. A noi non si apprende nessun male fisico per volontà di Dio”» dice Bartolomeo.
«Hai detto bene, Simone. E voi due?» chiede Gesù a Giacomo di Zebedeo e all’Iscariota, che stanno un poco lontani, il primo parlando con i tre discepoli di Giovanni, il secondo solo e immusonito.
«Oh! Io non ho fatto nulla» dice Giacomo. «Ma Giuda ha fatto tre miracoli potenti: un cieco, un paralitico, un indemoniato. A me pareva un lunatico. Ma la gente diceva così…».
«E te ne stai con quel viso se Dio ti ha tanto aiutato?» chiede Pietro.
«So essere umile anche io» risponde l’Iscariota.
«E poi siamo stati ospitati da un fariseo. Io mi ci trovavo a disagio. Ma Giuda sa fare meglio e lo ha ammansito. Il primo giorno era sostenuto, ma poi… Vero, Giuda?».
Giuda assente senza parlare.
«Molto bene. E farete sempre meglio. La prossima settimana staremo insieme. Intanto… Simone, vai a preparare le barche. Anche tu, Giacomo».
«Per tutti, Maestro? Non vi staremo».
«Non puoi averne un’altra?».
«Chiedendola a mio cognato, sì. Vado».
«Va’. E appena fatto torna. E non dare molte spiegazioni».
I quattro pescatori partono. Gli altri scendono a prendere sacchi e mantelli.
4Resta Mannaen con Gesù. Il bambino continua a dormire.
«Maestro, vai lontano?».
«Non so ancora… Essi sono stanchi e addolorati. Io pure. Conto di andare a Tarichea, nelle campagne, per isolarci in pace…».
«Io ho il cavallo, Maestro. Ma, se permetti, vengo seguendo il lago. Vi starai molto?».
«Forse tutta la settimana e non oltre».
«Allora verrò. Maestro, benedicimi in questo primo commiato. E levami un peso dal cuore».
«Quale, Mannaen?».
«Ho il rimorso di avere lasciato Giovanni. Forse se c’ero…»
«No. Era la sua ora. Ed egli certo è stato contento di vederti venire a Me. Non avere questo peso. Cerca anzi di liberarti presto e bene dell’unico peso che hai: il gusto di essere uomo. Divieni spirito, Mannaen. Lo puoi. C’è in te la capacità di esserlo. Addio, Mannaen. La mia pace sia con te. Presto ci rivedremo in Giudea».
Mannaen si inginocchia e Gesù lo benedice. Poi lo alza e lo bacia. Rientrano gli altri e si salutano fra di loro, sia gli apostoli che i discepoli di Giovanni. Vengono per ultimi i pescatori.
«È fatto, Maestro. Possiamo andare».
«Va bene. Salutate Mannaen che resta qui fino al tramonto di domani. Raccogliete le cibarie, prendete l’acqua e andiamo. Fate poco rumore».
Pietro si curva a svegliare Marziam.
«No, lascia. Potrebbe piangere. Lo prendo in braccio Io» dice Gesù e dolcemente solleva il bambino, che mugola un poco ma si accomoda istintivamente fra le braccia di Gesù.
5Spengono le lampade. Escono. Chiudono la porta. Scendono. Sulla soglia dell’orto salutano nuovamente Mannaen e poi, in fila, per la via piena di luna vanno al lago: un enorme specchio d’argento sotto la luna allo zenit. Tre gocce rosse sullo specchio quieto sembrano i tre fanaletti delle prore già immersi nell’acqua. Salgono distribuendosi per le barche, ultimi salgono i pescatori. Pietro e un garzone dove è Gesù, Giovanni e Andrea nell’altra, Giacomo e un garzone nella terza.
«Dove, Maestro?» chiede Pietro.
«A Tarichea. Dove sbarcammo dopo il miracolo dei geraseni. Ora non ci sarà pantano. E vi sarà quiete».
Pietro prende il largo e gli altri, con le barche, dietro, una scia nell’altra. Nessuno parla. Soltanto quando sono al largo e Cafarnao svanisce nel chiarore di luna che uniforma tutto col suo pulviscolo d’argento, Pietro, quasi parlasse alla barra del timone, dice: «E ci ho gusto. Domani ci cercheranno, vecchia mia, e grazie a te non ci troveranno».
«A chi parli, Simone?» chiede Bartolomeo.
«Alla barca. Non sai che per i pescatori è come una sposa? Quanto ho parlato con lei! Più che con Porfirea. Maestro!… È ben coperto il bambino? C’è guazza sul lago di notte…».
«Sì. Senti, Simone. Vieni qui. Ti devo parlare…».
Pietro affida la barra del timone al mozzo e viene da Gesù.
«Ho detto Tarichea. Ma basterà esserci dopo il sabato per salutare di nuovo Mannaen. Non potresti trovare un luogo lì vicino dove stare in pace?».
«Oh! Maestro! In pace noi o anche le barche? Per quelle ci vuole Tarichea oppure i porti dell’altra sponda. Ma se è per noi, basta che Tu ti inselvi al di là del Giordano, che solo le bestie ti scoveranno… e forse qualche pescatore che sorveglia le tese dei pesci. Potremmo lasciare le barche a Tarichea. Vi giungeremo all’alba e noi fileremo svelti oltre il guado. Si passa bene di questi tempi».
«Va bene. Faremo così…»
«Fa schifo anche a Te il mondo, eh? Preferisci i pesci e le zanzare, eh? Hai ragione».
«Non ho schifo. Non bisogna averlo. Ma voglio evitare che voi facciate degli scandali e voglio consolarmi in voi in queste ore del sabato».
«Maestro mio!…». Pietro lo bacia sulla fronte e se ne va asciugandosi un lacrimone, che vuole proprio rotolare fuori e scendere verso la barba.
Torna al suo timone e punta a sud, fermamente, mentre la luce lunare decresce nel tramonto del pianeta che si abbassa oltre un colle, levando il suo faccione dalla vista degli uomini, ma lasciando ancora il cielo bianco della sua luce, e d’argento il lago nella spiaggia di oriente. Il resto è indaco cupo che appena si distingue al lume del fanale di prora.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/
Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.
Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare.
Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero.
Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 271 pagina 319 - CD 4, traccia 46
1È notte fatta quando Gesù torna a casa. Entra senza rumore nell’orto, si affaccia un attimo alla cucina buia. La vede vuota. Si affaccia alle due stanze dove sono le stuoie e i letti. Vuote esse pure. Solo le vesti mutate, ammucchiate per terra, dicono che gli apostoli hanno fatto ritorno. La casa sembra disabitata tanto è silenziosa.
Gesù, facendo meno rumore di un’ombra, sale la scaletta, candore nel candore della luna piena, e giunge sulla terrazza. La percorre. Pare uno spettro che si muova senza rumore. Un luminoso spettro. Nell’incandescenza bianca della luna pare affinarsi, alzarsi più ancora. Alza con la mano la tenda che è alla porta della stanza alta. Essa era rimasta calata da quando i discepoli di Giovanni vi erano entrati con Gesù. Dentro, seduti qua e là, a gruppi, o soli, sono gli apostoli coi discepoli di Giovanni e Mannaen, e, addormentato col capo sui ginocchi di Pietro, è Marziam. La luna si incarica di illuminare la stanza entrando coi suoi fiotti fosforici dalle finestre aperte. Nessuno parla. E nessuno, tolto il bambino seduto per terra su una stuoia, dorme.
2Gesù entra piano e il primo che lo vede è Tommaso. «Oh! Maestro!» dice facendo un sobbalzo.
Gli altri si scuotono tutti. Pietro, nel suo impeto, fa per alzarsi di scatto, ma si sovviene del bambino e lo fa dolcemente, adagiando il capo bruno di Marziam sul suo sedile, di modo che giunge da Gesù per ultimo, mentre il Maestro, con voce stanca di chi ha molto sofferto, risponde a Giovanni, Giacomo e Andrea che gli dicono il loro dolore: «Lo comprendo. Ma solo chi non crede ha da sentirsi desolato di una morte. Non noi che sappiamo e crediamo. Giovanni non ci è più separato. Lo era prima. Prima ci separava, anzi. O con Me, o con lui. Ora non più. Dove è lui Io sono. Presso a Me lui è».
Pietro insinua la sua testa brizzolata fra le teste giovanili e Gesù lo vede: «Anche tu hai pianto, Simone di Giona?»; e Pietro con voce più rauca del solito: «Sì, Signore. Perché anche io ero stato di Giovanni… E poi… e poi… E pensare che il venerdì scorso io mi rammaricavo che la presenza dei farisei ci avesse ad amareggiare il sabato! Questo sì che è un sabato d’amarezza! Avevo portato il bambino… per avere un sabato anche più bello… Invece…».
«Non ti accasciare, Simone di Giona. Giovanni non è perduto. Lo dico anche a te. E in cambio abbiamo tre discepoli ben formati. Dove è il bambino?».
«Là, Maestro. Dorme…».
«Lascialo dormire» dice Gesù curvandosi sulla testolina bruna che dorme tranquilla. E poi chiede ancora: «Avete cenato?».
«No, Maestro. Ti aspettavamo ed eravamo in pensiero, ormai, per il ritardo, non sapendo dove cercarti… e parendoci di avere perduto anche Te».
«Abbiamo ancora tempo da stare insieme. Su, preparate la cena, perché dopo ce ne andremo altrove. Ho bisogno di isolarmi fra amici, e domani, qui stando, saremmo sempre circondati di persone».
«E io ti giuro che non li sopporterei, specie quelle serpentesse delle anime farisee. E sarebbe un brutto fatto se sfuggisse loro anche un sorriso a nostro riguardo, nella sinagoga».
«Buono, Simone!… Ma Io ho calcolato anche questo. Perciò sono tornato a prendervi con Me».
Alla luce delle lucernette accese ai due lati della tavola, si vedono meglio le alterazioni dei loro visi. Solo Gesù è di una maestà solenne, e Marziam sorride nel sonno.
«Il bambino ha mangiato prima» spiega Simone.
«È meglio lasciarlo dormire, allora» dice Gesù.
E in mezzo ai suoi offre e distribuisce il parco cibo che viene mangiato senza volontà. E presto la cena è finita.
3«Ditemi ora che avete fatto…» incoraggia Gesù.
«Io sono stato con Filippo nelle campagne di Betsaida e abbiamo evangelizzato e curato un bambino malato» dice Pietro.
«Veramente è stato Simone che lo ha guarito» dice Filippo, che non vuole prendersi una gloria non sua.
«Oh! Signore! Non so come ho fatto. Ho pregato molto, con tutto il cuore, perché mi faceva pietà il malatino. Poi l’ho unto con l’olio e l’ho soffregato con le mie mani rozze… ed è guarito. Quando l’ho visto colorirsi in viso e aprire gli occhi, rivevere insomma, ho avuto quasi paura».
Gesù gli posa la mano sul capo, senza parlare.
«Giovanni ha stupito molto per aver cacciato un demonio. Ma a parlare è toccato a me» dice Tommaso.
«Anche tuo fratello Giuda lo ha fatto» dice Matteo.
«Allora anche Andrea» dice Giacomo d’Alfeo.
«Invece Simone Zelote ha guarito un lebbroso. Oh! non ha avuto paura di toccarlo! E mi ha detto poi: “Ma non temere. A noi non si apprende nessun male fisico per volontà di Dio”» dice Bartolomeo.
«Hai detto bene, Simone. E voi due?» chiede Gesù a Giacomo di Zebedeo e all’Iscariota, che stanno un poco lontani, il primo parlando con i tre discepoli di Giovanni, il secondo solo e immusonito.
«Oh! Io non ho fatto nulla» dice Giacomo. «Ma Giuda ha fatto tre miracoli potenti: un cieco, un paralitico, un indemoniato. A me pareva un lunatico. Ma la gente diceva così…».
«E te ne stai con quel viso se Dio ti ha tanto aiutato?» chiede Pietro.
«So essere umile anche io» risponde l’Iscariota.
«E poi siamo stati ospitati da un fariseo. Io mi ci trovavo a disagio. Ma Giuda sa fare meglio e lo ha ammansito. Il primo giorno era sostenuto, ma poi… Vero, Giuda?».
Giuda assente senza parlare.
«Molto bene. E farete sempre meglio. La prossima settimana staremo insieme. Intanto… Simone, vai a preparare le barche. Anche tu, Giacomo».
«Per tutti, Maestro? Non vi staremo».
«Non puoi averne un’altra?».
«Chiedendola a mio cognato, sì. Vado».
«Va’. E appena fatto torna. E non dare molte spiegazioni».
I quattro pescatori partono. Gli altri scendono a prendere sacchi e mantelli.
4Resta Mannaen con Gesù. Il bambino continua a dormire.
«Maestro, vai lontano?».
«Non so ancora… Essi sono stanchi e addolorati. Io pure. Conto di andare a Tarichea, nelle campagne, per isolarci in pace…».
«Io ho il cavallo, Maestro. Ma, se permetti, vengo seguendo il lago. Vi starai molto?».
«Forse tutta la settimana e non oltre».
«Allora verrò. Maestro, benedicimi in questo primo commiato. E levami un peso dal cuore».
«Quale, Mannaen?».
«Ho il rimorso di avere lasciato Giovanni. Forse se c’ero…»
«No. Era la sua ora. Ed egli certo è stato contento di vederti venire a Me. Non avere questo peso. Cerca anzi di liberarti presto e bene dell’unico peso che hai: il gusto di essere uomo. Divieni spirito, Mannaen. Lo puoi. C’è in te la capacità di esserlo. Addio, Mannaen. La mia pace sia con te. Presto ci rivedremo in Giudea».
Mannaen si inginocchia e Gesù lo benedice. Poi lo alza e lo bacia. Rientrano gli altri e si salutano fra di loro, sia gli apostoli che i discepoli di Giovanni. Vengono per ultimi i pescatori.
«È fatto, Maestro. Possiamo andare».
«Va bene. Salutate Mannaen che resta qui fino al tramonto di domani. Raccogliete le cibarie, prendete l’acqua e andiamo. Fate poco rumore».
Pietro si curva a svegliare Marziam.
«No, lascia. Potrebbe piangere. Lo prendo in braccio Io» dice Gesù e dolcemente solleva il bambino, che mugola un poco ma si accomoda istintivamente fra le braccia di Gesù.
5Spengono le lampade. Escono. Chiudono la porta. Scendono. Sulla soglia dell’orto salutano nuovamente Mannaen e poi, in fila, per la via piena di luna vanno al lago: un enorme specchio d’argento sotto la luna allo zenit. Tre gocce rosse sullo specchio quieto sembrano i tre fanaletti delle prore già immersi nell’acqua. Salgono distribuendosi per le barche, ultimi salgono i pescatori. Pietro e un garzone dove è Gesù, Giovanni e Andrea nell’altra, Giacomo e un garzone nella terza.
«Dove, Maestro?» chiede Pietro.
«A Tarichea. Dove sbarcammo dopo il miracolo dei geraseni. Ora non ci sarà pantano. E vi sarà quiete».
Pietro prende il largo e gli altri, con le barche, dietro, una scia nell’altra. Nessuno parla. Soltanto quando sono al largo e Cafarnao svanisce nel chiarore di luna che uniforma tutto col suo pulviscolo d’argento, Pietro, quasi parlasse alla barra del timone, dice: «E ci ho gusto. Domani ci cercheranno, vecchia mia, e grazie a te non ci troveranno».
«A chi parli, Simone?» chiede Bartolomeo.
«Alla barca. Non sai che per i pescatori è come una sposa? Quanto ho parlato con lei! Più che con Porfirea. Maestro!… È ben coperto il bambino? C’è guazza sul lago di notte…».
«Sì. Senti, Simone. Vieni qui. Ti devo parlare…».
Pietro affida la barra del timone al mozzo e viene da Gesù.
«Ho detto Tarichea. Ma basterà esserci dopo il sabato per salutare di nuovo Mannaen. Non potresti trovare un luogo lì vicino dove stare in pace?».
«Oh! Maestro! In pace noi o anche le barche? Per quelle ci vuole Tarichea oppure i porti dell’altra sponda. Ma se è per noi, basta che Tu ti inselvi al di là del Giordano, che solo le bestie ti scoveranno… e forse qualche pescatore che sorveglia le tese dei pesci. Potremmo lasciare le barche a Tarichea. Vi giungeremo all’alba e noi fileremo svelti oltre il guado. Si passa bene di questi tempi».
«Va bene. Faremo così…»
«Fa schifo anche a Te il mondo, eh? Preferisci i pesci e le zanzare, eh? Hai ragione».
«Non ho schifo. Non bisogna averlo. Ma voglio evitare che voi facciate degli scandali e voglio consolarmi in voi in queste ore del sabato».
«Maestro mio!…». Pietro lo bacia sulla fronte e se ne va asciugandosi un lacrimone, che vuole proprio rotolare fuori e scendere verso la barba.
Torna al suo timone e punta a sud, fermamente, mentre la luce lunare decresce nel tramonto del pianeta che si abbassa oltre un colle, levando il suo faccione dalla vista degli uomini, ma lasciando ancora il cielo bianco della sua luce, e d’argento il lago nella spiaggia di oriente. Il resto è indaco cupo che appena si distingue al lume del fanale di prora.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/
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